Le sanzioni disciplinari conservative sono:
il rimprovero verbale.
il rimprovero scritto, in cui rientra, secondo la giurisprudenza, il rimprovero verbale di cui rimanga traccia scritta nella cartella personale del dipendente, ma non la lettera di richiamo ai doveri pro futuro, e le note di qualifica, in cui il giudizio resta circoscritto alla qualità della prestazione che il lavoratore deve fornire quale collaboratore del datore di lavoro e, se negative, non presuppongono necessariamente un inadempimento. Per un esempio è possibile vedere questo fac simile di lettera di richiamo su questo sito.
la multa, che non può superare l’importo di 4 ore della retribuzione base.
la sospensione dal servizio e dalla retribuzione. La sospensione non può superare i 10 giorni (art. 7, co. 4, Stat. lav.).
Tali sanzioni non costituiscono un numero chiuso, potendo la contrattazione collettiva prevedere anche nuove ed ulteriori ipotesi di sanzioni.
La legge (art. 7, co. 4, Stat. Lav.) vieta sanzioni “che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro” (fermo restando il licenziamento disciplinare). Pertanto, non può essere applicata la sanzione disciplinare della modifica delle mansioni ovvero la dequalificazione professionale per fini punitivi.
Quanto al trasferimento disciplinare ad altra sede o reparto, secondo l’indirizzo giurisprudenziale più recente, esso può avere natura “ontologicamente disciplinare ove sia ricollegabile ad una mancanza del lavoratore e non sia conseguente all’esercizio del potere organizzatorio e gestionale del datore di lavoro”. I giudici hanno inoltre affermato che la contrattazione collettiva può prevedere il trasferimento disciplinare “essendo esso rispettoso” dell’art. 7, co.4, “in ragione del suo carattere conservativo che non comporta un mutamento definitivo del rapporto di lavoro, ma incide solo sul luogo di adempimento della prestazione lavorativa”.
Un diverso orientamento giustifica la fattispecie sotto il profilo della tensione ambientale causata da un’incompatibilità del lavoratore con i colleghi di lavoro, tale da determinare disorganizzazione e disfunzione nell’unità produttiva e, quindi, l’esigenza aziendale di modifica del luogo di lavoro riconducibile alle esigenze tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 cod. civ.
Sanzione espulsiva, il licenziamento disciplinare.
Accanto alle sanzioni “conservative” si pone la sanzione espulsiva del licenziamento disciplinare al quale, in base alla sentenza della Corte Costituzionale 30 novembre 1982, n. 204, si applicano i primi tre comma dell’art. 7 Stat. lav. (codice disciplinare, contraddittorio ed assistenza di un rappresentante sindacale).
Il datore di lavoro deve rispettare i principi di immediatezza e di immutabilità della contestazione (ma si ammette, nella lettera di licenziamento, una modifica della qualificazione giuridica degli stessi fatti materiali già contestati). Egli, inoltre, non è tenuto a replicare alle giustificazioni del dipendente e, nella lettera di licenziamento o di risposta alla richiesta dei motivi, è sufficiente il richiamo alla contestazione.
Al licenziamento disciplinare si applicano, a pena di nullità, non solo le regole procedimentali contenute nei primi tre comma dell’art. 7 citato, ma “anche il precetto del quinto comma dello stesso articolo(secondo cui i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa), tenuto conto che tale norma risponde (salve comunque più favorevoli clausole della disciplina collettiva) all’esigenza – considerata anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 427 del 1989 – di consentire al lavoratore di difendersi adeguatamente, mentre all’inopportunità della presenza in azienda dello stesso lavoratore durante l’intervallo predetto il datore di lavoro può eventualmente ovviare con l’adozione di un provvedimento di sospensione provvisoria”.
Nel licenziamento disciplinare la contestazione dell’addebito e la comminatoria del licenziamento stesso possono essere contenute nel medesimo atto. Ciò si verifica quando viene concesso al lavoratore il termine di cinque giorni per fornire le proprie discolpe e viene precisato che, se il lavoratore non si avvale di questa possibilità, “il rapporto di lavoro s’intenderà risolto senza ulteriore preavviso dal giorni successivo alla scadenza del termine”.
In questo caso, le norme procedurali applicabili sono quelle vigenti al momento dell’adozione degli atti del procedimento (contestazione degli addebiti e procedimento medesimo) e non al momento del compimento del fatto, anche se la procedura è prevista e disciplinata dal contratto collettivo.