Realizzare un prodotto esente da difetti è un viaggio lungo e complicato per tutte le aziende.
Insieme a questo problema, efficienza e produttività degli operatori sono l’altro problema che non fa dormire la notte imprenditori e responsabili di reparto.
In reparto si corre, si deve accelerare, bisogna consegnare, dobbiamo vendere. I clienti non sono tanti, ma quando ci sono, gli ordini devono essere processati velocemente.
Un espediente che sembra naturale applicare è quello della specializzazione degli operai, i quali, svolgendo ripetutamente la stessa mansione diventano “esperti” o “maestri” in quello che fanno, aumentando la velocità di esecuzione.
“La pratica rende maestri”
Ma una volta aumentate produttività e velocità, è necessario, come detto, fare un passo in avanti: diminuire i difetti in produzione.
Lungo il flusso che trasforma materie prime in prodotti finiti ci sono diverse attività e, generalmente, intervengono diversi operatori e tecnici per dare il loro contributo. Ognuno, se l’azienda funziona come dovrebbe, ha quantomeno idea del valore di questo contributo.
Una strategia efficace per ridurre i difetti è quella di rendere ancora più consapevoli gli operatori del loro ruolo nel processo di creazione del valore. Come? Effettuando di tanto in tanto dei cambi di mansione fra operatori che occupano posizioni differenti lungo lo stesso processo.
L’eccessiva specializzazione, alla lunga, rende le persone meno elastiche, facendo loro “dimenticare” ciò che sarebbero capaci di fare se solo li si ponessero di fronte dei problemi da risolvere. Ciò significa che se svolgo sempre gli stessi semplici passi, che richiedono poche abilità, poca capacità di risolvere problemi e, in definitiva, poca flessibilità, posso abituarmi a pensare di non poter fare nient’altro. Per non parlare di quelle persone che decidono volontariamente di non palesare proprie capacità, per paura di essere coinvolti in nuovi progetti, con la giustificazione di evitarsi nuove responsabilità(=impicci), “tanto la paga è sempre quella”.
Alternando le persone a monte e a valle del processo invece, le stesse si renderanno conto:
in che modo il processo a valle (cliente) vorrebbe che i pezzi gli venissero consegnati e perché;
quanto tempo può risparmiare il processo a valle, se solo un componente venisse lavorato meglio nello step precedente (molte volte 5 minuti persi a monte fanno risparmiare il doppio o anche di più a valle);
se è vero il punto 2, può essere vero il contrario, per cui chi sta a valle si può rendere conto se vale la pena chiedere uno sforzo in più a chi sta a monte o no e, soprattutto, quali sono i punti critici da controllare, ossia su quali aspetti il processo a monte è più debole e generare errori o scarti.
Questa situazione di scambio crea un ambiente proficuo in cui si allineano gli obiettivi dei singoli processi verso l’obiettivo aziendale. In sostanza si scongiura quell’atteggiamento deleterio secondo cui ciascuno tende all’ottimo locale a discapito dell’ottimo globale.
Un altro effetto positivo di questa pratica è di non dover mai soffrire dell’assenza di operai per motivi contingenti, perché in qualunque caso ci sarà comunque qualcun altro in grado di ricoprire il ruolo lasciato scoperto.
Dinamicità e flessibilità allora potrebbero essere una delle chiavi per il miglioramento continuo, in quanto preparano alle sfide, aumentano qualità e forse migliorano la comunicazione e la condivisione. È praticamente un altro modo per “mettersi nei panni degli altri”, pratica sempre benvenuta.
P.S. L’ho detto altre volte e forse ci ritornerò ancora ma aggiungo ora un piccolo fuori tema.
Fin’ora abbiamo scambiato di posto i “pari grado”, ossia gli operai di qualifica e competenze simili ma che occupano una posizione diversa lungo la catena di produzione.
Oserei ancora di più, dando l’opportunità a progettisti, a chi gestisce i processi, di “giocare” a fare la parte dell’operaio ogni tanto. È una grossa opportunità per chi ha difficoltà a capire le problematiche della produzione.