Per coloro che cercano un lavoro o che stanno già lavorando può essere utile conoscere il meccanismo di licenziamento in Italia. Il licenziamento è una cessazione del rapporto di lavoro decisa dal datore di lavoro e la legge italiana regola questo caso in modo molto preciso, ponendo dei limiti all’azione del datore di lavoro.
Il licenziamento viene comunicato al lavoratore con una lettera raccomandata consegnata direttamente o per posta. Prima che avvenga la comunicazione scritta, esso non può considerarsi effettivo. Se nello scritto non vengono esplicitate le ragioni del licenziamento, il lavoratore può chiederle al suo datore di lavoro che è tenuto a rispondergli nei sette giorni successivi. Inoltre, il datore di lavoro deve obbligatoriamente dare un periodo di preavviso all’occupato, a meno che non si tratti di licenziamento per giusta causa. Qualora ciò non venga fatto, al lavoratore spetta un’indennità di mancato preavviso. Al lavoratore viene inoltre riconosciuto il diritto di impugnare il licenziamento entro sessanta giorni dalla sua comunicazione. Anche questa operazione deve avvenire in forma scritta. Prima di recarsi dal giudice è tuttavia auspicabile tentare di trovare un compromesso col datore di lavoro.
Nel caso poi in cui il licenziamento avvenga senza una giusta motivazione e senza una comunicazione scritta, al lavoratore viene riconosciuto il diritto alla reintegrazione o alla riassunzione, a seconda delle dimensioni dell’azienda in cui lavora. La reintegrazione è prevista nel caso di aziende più grandi e prevede anche un risarcimento del danno subito dal lavoratore con il licenziamento.
Esistono vari tipi di licenziamento in Italia che sottostanno a regole diverse; la distinzione principale è quella tra licenziamento per giusto motivo e per giusta causa
licenziamento per giusto motivo si tratta dell’ipotesi di licenziamento meno grave tra le due. In questo caso è necessario che il datore di lavoro fornisca un periodo di preavviso al lavoratore. Esistono due tipi di motivo: soggettivo, quando il lavoratore ha compiuto un inadempimento notevole degli obblighi contrattuali, ed oggettivo, quando egli viene licenziato per ragioni legate all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro e quindi non al comportamento del lavoratore stesso. Le motivazioni più comuni sono la cessazione dell’attività, il fallimento e la riorganizzazione aziendale;
licenziamento per giusta causa si tratta dell’ipotesi di licenziamento più grave che, per questo, non prevede neanche la necessità, da parte del datore di lavoro, di fornire alcun preavviso o di versare l’indennità di mancato preavviso. Questo tipo di licenziamento scatta quando il lavoratore compie un atto così grave (ad esempio, il danneggiamento di materiali, la rissa sul posto di lavoro, le ingiurie verso il datore di lavoro o le violenze verso gli altri lavoratori) da non poter in alcun modo continuare il rapporto di lavoro e da giustificare quindi un licenziamento in tronco.
A volte sono le dinamiche in atto all’interno dell’azienda e del mercato del lavoro stesso che rendono necessari dei licenziamenti. Se un’impresa licenzia più di cinque persone nell’arco di 120 giorni, questi sono definiti licenziamenti collettivi e sottostanno a regole specifiche. In questi casi è poi particolarmente importante che l’azienda scelga i soggetti da licenziare senza basarsi su alcun tipo di discriminazione. Il licenziamento collettivo viene indicato anche con il termine mobilità. Per procedere a questo tipo di provvedimento, le imprese devono prima comunicarlo alle rappresentanze sindacali. I lavoratori che vengono mandati in mobilità percepiscono l’80 % del loro stipendio e vengono inseriti in liste particolari di soggetti che hanno un accesso al lavoro agevolato. Il lavoratore è poi escluso dalla mobilità una volta che viene assunto, anche a tempo determinato o parziale.